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Disconnect, viaggio nella solitudine e nell'incomunicabilità


Disconnect è un film duro, è bene dirlo subito. Un film in cui alla semplice domanda "che fai?" tutti gli adolescenti protagonisti rispondono "i compiti".

E il mondo degli adulti si gira dall'altra parte e si accontenta della risposta data a mezza bocca senza neanche staccare gli occhi dal video.

Disconnect è un film del 2012 diretto da Henry Alex Rubin e presentato fuori concorso a Venezia durante la 69ª edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica.


Locandina del film Disconnect

Il film racconta 4 storie: quella di Nina, giornalista rampante e apparentemente senza scrupoli e quella di una coppia di sposi sofferenti per la morte del loro neonato. C'è la storia di Mike, investigatore privato, alle prese con un figlio vivace, e, infine, quella di Jason, chiuso in se stesso e nel suo amore per la musica.

La prima sensazione che si ha, guardando il film, è un senso di claustrofobia dovuto alle inquadrature spesso strette, che mostrano i personaggi in primo piano o primissimo piano e alla mdp, mai ferma, che cammina con i protagonisti, li segue e li spia.

Poco si sa dell'ambiente in cui vivono i protagonisti, difficile, infatti, vedere uno spazio aperto in questo film, che si svolge tutto in luoghi chiusi e spesso direttamente sullo schermo di un pc.


Molte immagini hanno un contorno sfocato o scuro.


Oppure hanno un ostacolo visivo: finestre, specchi, vetri o persone...

Spesso le immagini sono sporcate da linee nere che percorrono tutta le inquadratura per aumentare l'effetto di separazione tra i personaggi o chiusura nei loro piccoli e grandi drammi. Troveranno una via di uscita?


Essendo un film sul web, ecco che internet appare in tutta il suo potere e il regista crea inquadrature in cui il linguaggio visivo convive con quello scritto (una modalità molto cara a molti autori contemporanei, basta pensare al film La grande scommessa nelle sale in questi giorni).

Jason Bateman

Tanti sono i temi racchiusi all'interno di quest'opera.

In prima battuta c'è la riflessione sul cyberbullimo, ma la presenza degli aduti apre a considerazioni ancora più forti, mettendo in guardia dalle insidie che il web nasconde per tutti: pirateria dati sensibili, appropriazione di identità, tranellli informatici...

Come ha evidenziato una giornalista della Stampa, il regista racconta della pericolosità di internet, ma le solitudini affondano in un passato lontano.

Il web le fa probabilmente solo esplodere.

Ed ecco il terzo tema importante: l'incomunicabilità: i personaggi sono connessi con la rete ma sconnessi tra loro. Non solo non si parlano, ma non si guardano neanche, mentre gli schermi di telefonini, computer e ipad rapiscono tutta l'attenzione.


Un'altra locandina del film Disconnect

Si segnalano alcune ingenuità: Jason è proprio il ragazzo che ci si aspetta: capelli troppo lunghi e vestiti troppo larghi.

La diffusione della foto di Jason avviene durante il compito, in un momento di assoluto silenzio: possibile che un'insegnante non si accorga di un cellulare che passi di mano in mano?

Nel punto conclusivo e di maggior pathos il regista ha scelto di usare il rallenty. Forse un po' ridondante. L'eccezionalità del momento era già evidente.

Alla fine si scopre che nessuno, durante il film, ha fatto i compiti...

I computer nel film servono a tante cose, ma non a studiare. E allora occhio, non conviene sconnettersi ogni tanto e connettersi alla vita, quella vera?

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