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La misteriosa scomparsa di W: si guarda e poi si legge!


Leggere un testo e poi vederlo realizzato è uno dei piaceri della vita.

Quante volte abbiamo letto un libro e poi ne abbiamo visto la versione cinematografica?

9 volte su 10, ci siamo poi detti che il libro è più bello.

Il codice da Vinci

Per le opere teatrali le cose si complicano e ne ho avuto la riprova assistendo alla Misteriosa scomparsa di W, testo scritto da Stefano Benni, messo in scena da Giorgio Gallione e interpretato da Ambra Angiolini.

Non dirò che Ambra è brava (sì lo è), non dirò che lo spettacolo è ben confezionato (si lo è), che alla fine fa scattare il pubblico in piedi per applaudire la brava e instancabile attrice che senza posa si dà in un monologo recitato come un fiume in piena per quasi un’ora.

Almeno questo è quello che è accaduto a Pescara, ma stessa cosa pare sia successa anche in altre città e lo potete leggere su molte recensioni.


Alba Angiolini

Vorrei, invece, concentrarmi su quello che è per me il merito maggiore dello spettacolo che riesce a far luce in un testo a tratti oscuro, spesso metaforico e persino strambo.

Qualche anno fa, infatti, ho letto il monologo di Benni e ho tentato di immaginare in che modo potesse essere interpretato. Ho tentato, ma senza successo.

Nell’allestimento di Gallione, invece, tutto prende il suo posto e la scrittura si chiarisce, non perché venga semplificata o allestita in modo didascalico.

Al contrario, restano le spigolature del testo, le bizzarrie, i passaggi repentini dal tono favolistico a quello scurrile, da quello irreale a quello drammatico, ma tutto ciò, nella messa in scena, si tiene e acquisisce un senso.

Se si ha la fortuna di aver letto il testo prima e di aver visto lo spettacolo dopo, ci si rende conto di quanto importante e profondo sia il lavoro del regista.

Allora ecco la domanda: il teatro, si guarda ma non si legge?

Come leggere un’opera?

Come mai risulta così difficile la lettura?

Ettore e Andromaca

Facciamo alcuni esempi, partendo da lontano.

Nel VI libro dell’Iliade si può leggere:

Andromaca a lui (Ettore) venne vicino, bagnato il viso in lacrime, lo sfiorò con la mano, articolò la voce e disse:…” (Libro VI vv 405/407 trad. di C. Cerri, ed. Rizzoli).

Prima del dialogo, Omero (o chi per lui) ci ha già dato tantissime informazioni e il lettore può facilmente immaginarsi la scena, vedendo Andromaca avvicinarsi all’amato e cominciare a parlare con la voce rotta dal pianto. Quindi prima di ascoltarla, chi legge la vede davanti a sé.


Il libro di Umberto Eco

In Sei passeggiate nei boschi narrativi, Umberto Eco descrive lo stile manzoniano attraverso la figura retorica dell’ipotiposi, che trasforma le parole del romanziere in vere e proprie immagini filmiche. Scrive Eco: “Non ditemi che un autore del XIX secolo non conosca la tecnica cinematografica: è che i registi cinematografici conoscono le tecniche narrative del XIX secolo”.

Gli scrittori, quindi, da sempre forniscono tanti elementi al lettore, dipingendo nella sua mente un quadro chiaro della situazione che stanno descrivendo. Questo almeno è quanto accaduto fino al Novecento, quando invece i romanzieri fanno dell’omissione l’innovativo marchio di stile e del non detto il nuovo orizzonte da esplorare.


L'attore di Via col vento

Ecco dunque perché la realizzazione cinematografica di un romanzo è spesso avvertita come un tradimento da parte del lettore appassionato, che ha intessuto con il testo un rapporto che lo ha portato a tracciare un personale percorso mentale in cui ogni elemento della storia ha trovato posto.

Un esempio: il lettore della prima ora di Via col vento avrà immaginato il grande amore di Rossella O’Hara, Ashely, come un bellissimo uomo come di fatto è descritto. Nel film l’attore scelto certo non giustifica l’innamoramento intenso e duraturo dell’eroina. Ma la bellezza, si sa, è soggettiva!

In un testo teatrale, invece, mancano tutti gli aiuti descrittivi e le battute sono intervallate al massimo da didascalie la cui quantità e precisione varia a seconda del momento storico o dall’autore: Shakespeare ne fornisce poche, Pirandello è più generoso.

Quando ero al liceo la mia insegnante di lettere mi assegnò da leggere L’avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone. Fu per me una vera tortura, perché ricordo la difficoltà di seguire un testo del genere.

Successivamente le miei letture si arricchirono di una locandiera, di sei personaggi in cerca di un autore, di un malato immaginario ed ogni volta era una gran fatica.

A un certo punto da liceale frustrata qual ero, formulai una personalissima teoria che suonava come uno slogan di protesta: il teatro si vede, ma non si legge!

Ho capito col tempo e dopo tanti testi letti e visti che la lettura di un’opera teatrale deve essere impostata in un modo diverso dalla lettura di un romanzo, perché le informazioni delle didascalie sono ben poca cosa rispetto ai dati forniti da una narrazione. Il lettore deve essere molto attivo per scorgere e risolvere i problemi creati dal drammaturgo spesso risolvibili solo attraverso l’occhio di un regista esperto.


Romeo e Giulietta di Zeffirelli

Esempio: Romeo e Giulietta, scena del balcone. Se riusciamo a immaginarla è perché ne abbiamo viste tante versioni, ma nella realtà una persona che si affaccia a un balcone è in una posizione sopraelevata e privilegiata dalla quale può vedere tutto. Come è possibile che in questa scena, invece, Giulietta non veda Romeo avvicinarsi? Tra l’altro mentre Giulietta parla fra sé e sé, Romeo la ascolta e anche lui parla da solo. Nuovo problema: se entrambi parlano, come è possibile che uno senta l’altro e l’altro no?

Da Zeffirelli a Luhrmann ogni regista ha proposto una sua soluzione del problema visione-ascolto.

Per tutte queste ragioni ancor più difficoltosa appare la lettura di un monologo, che impegna il lettore in un lavorio immaginifico di altissimo livello.

Leggendo la storia di V, è stato difficile creare una figura mentale della protagonista, se non guardando qualche foto di scena di Angela Finocchiaro che per prima ha interpretato le parole di Benni scritte in realtà appositamente per lei.

Così arriva Ambra che attraverso l’intonazione della voce non solo interpreta V ma caratterizza anche tutti i personaggi che costellano il testo: dal debole vecchietto, all’amica antipatica, al fidanzato fastidioso.

Tutte queste figure, che timidamente avevano fatto capolino durante la lettura, prendono invece vita prepotentemente sul palco.


Il testo di Stefano Benni

Non dirò, dunque, che Ambra è brava, che l’opera è ben confezionata, che alla fine fa incetta di applausi.

Dirò invece che è uno spettacolo che fa quello che deve fare uno spettacolo: dare vita alle parole dell’autore, tracciando la strada per ritornare sul testo e scoprirle di nuovo.

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