Caro Morin,
leggendo il tuo ultimo libro ho capito che la scuola deve assumersi un solo, unico, grande impegno:
insegnare a vivere!
Ok, detto così... potevo anche fermarmi alla lettura del titolo, ma di fatto nessun titolo è stato scelto meglio, perchè racchiude il significato dell'opera e indica l'obiettivo a chiare lettere.
Ti dirò quello che mi piace e (quel poco) che non mi piace del tuo saggio, che è un vero manifesto del cambiamento della professione del docente.
Punto 1.
Devo insegnare il buon vivere.
Mi piace, vediamo però cosa significa.
Morin potrebbe parlare di benessere, ma subito mostra un'importante distinzione.
Spesso nella nostra società parliamo di benessere, ma ormai lo abbiamo assimilato ai viaggi in nave, a SPA di lusso e a sedute in palestra (sono esempi dello scrittore).
Invece esiste un altro benessere basato sul buon vivere seguendo i valori, che conducono all’arte di vivere. Il benessere si è identificato con il molto avere, ecco perchè Morin preferisce parlare di buon vivere, contrapponendo così l'essere all'avere (come non pensare al libro di Erich Fromm Essere o avere dedicato proprio a questo tema?).
Punto 2.
Mi piace quando scrivi che bisogna insegnare la libertà: saper pensare in modo libero vuol dire saper scegliere fra opinioni diverse, teorie e filosofie. Più il grado di scelta è elevato, più grande è la libertà.
Punto 3.
I docenti devono accorciare la distanza tra i due ambiti del sapere: quello umanistico e quello scientifico. Questa dicotomia è un pericolo per la cultura tutta, avverte lo scrittore, e nasconde al suo interno la crisi della società e quindi della scuola. Mi piace!
Punto 4.
Morin,come Recalcati, sostiene l’importanza della presenza fisica del professore e mette in risalto la forte burocratizzazione che ha subito questa professione nel tempo, proprio dai vari ministri che spesso si muovono nella legislazione, senza tenere in giusta considerazione proprio la base dei lavoratori.
“La vulgata tecno-economica dominante fra politici e fra imprenditori tende a imporre i suoi criteri di efficienza, di redditività, di competitività al sistema insegnante delle secondarie e delle Università. (…) Il quantitativo scaccia il qualitativo”.
Quest'ultima affermazione non solo mi piace, ma mi consola, perchè capisco che quel senso di oppressione, che scaturisce dalla compilazione delle mille carte che incombono sulla mia attività, non appartiene solo alla mia anima, ma a quella di un'intera categoria.
Punto 5.
“Cerchi
L’India
Trovi
L’America”.
Questa è una poesia di Voznessenski, che offre la possibilità a Morin di dirci che dobbiamo insegnare l’importanza dell’errore.
Caro Morin, mi piace, ma come si fa?
L’errore nella scuola è considerato una mancanza, invece fornisce molte informazioni ai docenti. Può derivare da un’incomprensione delle consegne, da un disinteresse per il soggetto trattato o da una difficoltà della decodifica...
Ora, questo è il punto per me più discutibile, non perchè non sia condivisibile. Anzi, chiunque abbia seguito un corso di docimologia ha avuto modo di testare ciò che cela l'errore.
Calandoci nella pratica quotidiana, ci accorgiamo però che non è cosa da poco. Questo cambio di prospettiva ha una ricaduta sul tempo che impieghiamo a correggere e richiede una preparazione docimologica, psicologica e sociologica non di poco conto. Io, per esempio, quest'anno insegno a 99 studenti, come posso praticare la contemplazione del significato dell'errore?
Punto 6.
Mi piace quando scrivi che devo insegnare a fare i collegamenti.
C’è una pratica molto diffusa tra noi docenti ed è quella di dire agli allievi che devono fare collegamenti tra le materie. Per Morin, non basta. Bisogna, invece, diventare operatori di “relianza" e con questo termine da lui inventato vuole dire che dobbiamo creare noi per primi i collegamenti.
Il termine “relianza” deriva dalla crasi di due parole francesi: Relier che in francese vuol dire collegare e da Alliance che significa alleanza.
Punto 7.
Mi piace anche il fatto che mi ricordi che ormai il modello del professore che spiega di fronte a una classe che ascolta non funziona più.
In questa parte cogliamo il senso dell’opera in modo chiaro. Morin paragona l’insegnante a un direttore d’orchestra, che deve dirigere e organizzare il gruppo, perchè è necessaria una figura che crei un problema e che attivi gli allievi intorno a una ricerca, che poi sarà posta al centro di un dialogo tra alunni e docenti.
Concludendo...
Caro Morin,
mi piaci, perchè sostieni l’importanza di una riforma dell’educazione all'interno di una riforma culturale più ampia, che instauri un circolo virtuoso tra educazione-società-sapere e promuovendo la rigenerazione delle relazioni umane.
Esiste, dunque, una missione storica da portare a compimento: unire il sapere al vivere al pensare con una buona ricaduta sull’agire.
Caro Morin,
mi piace quel che scrivi, ma sarò pronta per tutto ciò?
di E.M. in AreaDocenti